La funzione curatoriale nel processo artistico
Metodico osservatore del circostante e disciplinato frequentatore dell’assurdo, l’artista metabolizza il proprio vissuto come per uno specifico enzima aggiuntivo e forse anomalo, che pure lo rende diverso, ma niente affatto migliore. L’opera d’arte materializza quella sua rielaborazione critica, nell’intenzionale persistenza di una ricerca che immune si spera dalla convenienza contingente. E se il valore aggiunto curatoriale di certo non prescinde dallo studio e dalla divulgazione dei progetti artistici via via selezionati, è tuttavia altrove che se ne vede tutto il senso complementare. E’ difatti nell’interpretazione del curatore che l’opera si separa dall’artista, perché per la prima volta, e da chi non ne sia stato il creatore, come tale viene infine percepita. A questo modo se ne facilita il passaggio all’età adulta e il successivo affidamento all’attenzione collettiva. E l’artista guarda da lontano quella sua creatura camminare, incontrare, e poi mutare nelle differenti tonalità della sensibilità condivisa. Artista e curatore, allora, compartecipano dell’ascendente espressivo acquisito nel tempo, e in quale esatta ripartizione non è però dato stabilire. Salvo che ricorrere a pretenziosi algoritmi di definizione, spesso peraltro asserviti alle vanità di categoria quando non addirittura di parte, che del rapporto con l’opera non chiarirebbero proprio nulla; se non la prepotenza del padre padrone, per l’artista, e per l’incauto curatore la spocchia autoritaria del giudice sovrano. Patogeni entrambi insidiosi, corrosivo ciascuno di un aperto pensiero: incolume dal secondo, la mia curatrice Noemi Pittaluga; e chi vi scrive pure, dal primo, forse ormai libero, sfinito e lontano.
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The curatorial function in the artistic process
Methodical observer of his surroundings and disciplined frequenter of the absurd, the artist metabolizes his lived experience as if thanks to an additional – perhaps anomalous – specific enzyme, which makes him different but none the better. The work of art materializes such critical processing in the deliberate persistence of a research, hopefully immune from contingent convenience. And while it is certain that the added curatorial value does not prescind from the study and dissemination of the artistic projects selected time after time, its actual complementary value is to be detected elsewhere. It is in fact in the curator’s interpretation that the work of art is separated from the artist, since it is then that the work of art is firstly perceived as such, by someone other than its creator. Thus, the work’s passage to adulthood is enabled as well as its subsequent delivery to public attention. And the artist watches from afar as his creature walks, encounters and changes in the varying shades of collective sensibility. Artist and curator, thus, partake in the expressive influence acquired over time, although we can’t establish in which proportions. One would have to resort to pretentious definition algorithms, often subservient to professional or partisan vanity and incapable of explaining the relationship with the work of art; except for the overpowering of the father-master, in the case of the artist and, for the incautious curator, the authoritative arrogance of the sovereign judge. Both are insidious pathogens, each corrosive of open thinking: my curator, Noemi Pittaluga is unharmed by the latter; and I, the author, am by now perhaps free, exhausted, distanced from the former.
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